martedì 17 novembre 2015

Ieri come Oggi....


7 OTTOBRE 2001. LETTERA DA FIRENZE

Il Sultano e San Francesco

Non possiamo rinunciare alla speranza

Oriana, dalla finestra di una casa poco lontana da quella in cui anche tu sei nata, guardo le lame austere ed eleganti dei cipressi contro il cielo e ti penso a guardare, dalle tue finestre a New York, il panorama dei grattacieli da cui ora mancano le Torri Gemelle. Mi torna in mente un pomeriggio di tanti, tantissimi anni fa quando assieme facemmo una lunga passeggiata per le stradine di questi nostri colli argentati dagli ulivi. Io mi affacciavo, piccolo, alla professione nella quale tu eri già grande e tu proponesti di scambiarci delle «Lettere da due mondi diversi»: io dalla Cina dell' immediato dopo-Mao in cui andavo a vivere, tu dall' America. Per colpa mia non lo facemmo. Ma è in nome di quella tua generosa offerta di allora, e non certo per coinvolgerti ora in una corrispondenza che tutti e due vogliamo evitare, che mi permetto di scriverti. Davvero mai come ora, pur vivendo sullo stesso pianeta, ho l' impressione di stare in un mondo assolutamente diverso dal tuo. Ti scrivo anche - e pubblicamente per questo - per non far sentire troppo soli quei lettori che forse, come me, sono rimasti sbigottiti dalle tue invettive, quasi come dal crollo delle due Torri. Là morivano migliaia di persone e con loro il nostro senso di sicurezza; nelle tue parole sembra morire il meglio della testa umana - la ragione; il meglio del cuore - la compassione. Il tuo sfogo mi ha colpito, ferito e mi ha fatto pensare a Karl Kraus. «Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia», scrisse, disperato dal fatto che, dinanzi all' indicibile orrore della Prima Guerra Mondiale, alla gente non si fosse paralizzata la lingua. Al contrario, gli si era sciolta, creando tutto attorno un assurdo e confondente chiacchierio. Tacere per Kraus significava riprendere fiato, cercare le parole giuste, riflettere prima di esprimersi. Lui usò di quel consapevole silenzio per scrivere Gli ultimi giorni dell' umanità, un' opera che sembra essere ancora di un' inquietante attualità. Pensare quel che pensi e scriverlo è un tuo diritto. Il problema è però che, grazie alla tua notorietà, la tua brillante lezione di intolleranza arriva ora anche nelle scuole, influenza tanti giovani e questo mi inquieta. Il nostro di ora è un momento di straordinaria importanza. L' orrore indicibile è appena cominciato, ma è ancora possibile fermarlo facendo di questo momento una grande occasione di ripensamento. È un momento anche di enorme responsabilità perché certe concitate parole, pronunciate dalle lingue sciolte, servono solo a risvegliare i nostri istinti più bassi, ad aizzare la bestia dell' odio che dorme in ognuno di noi ed a provocare quella cecità delle passioni che rende pensabile ogni misfatto e permette, a noi come ai nostri nemici, il suicidarsi e l' uccidere. «Conquistare le passioni mi pare di gran lunga più difficile che conquistare il mondo con la forza delle armi. Ho ancora un difficile cammino dinanzi a me», scriveva nel 1925 quella bell' anima di Gandhi. Ed aggiungeva: «Finché l' uomo non si metterà di sua volontà all' ultimo posto fra le altre creature sulla terra, non ci sarà per lui alcuna salvezza». E tu, Oriana, mettendoti al primo posto di questa crociata contro tutti quelli che non sono come te o che ti sono antipatici, credi davvero di offrirci salvezza? La salvezza non è nella tua rabbia accalorata, né nella calcolata campagna militare chiamata, tanto per rendercela più accettabile, «Libertà duratura». O tu pensi davvero che la violenza sia il miglior modo per sconfiggere la violenza? Da che mondo è mondo non c' è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre. Non lo sarà nemmen questa. Quel che ci sta succedendo è nuovo. Il mondo ci sta cambiando attorno. Cambiamo allora il nostro modo di pensare, il nostro modo di stare al mondo. È una grande occasione. Non perdiamola: rimettiamo in discussione tutto, immaginiamoci un futuro diverso da quello che ci illudevamo d' aver davanti prima dell' 11 settembre e soprattutto non arrendiamoci alla inevitabilità di nulla, tanto meno all' inevitabilità della guerra come strumento di giustizia o semplicemente di vendetta. Le guerre sono tutte terribili. Il moderno affinarsi delle tecniche di distruzione e di morte le rendono sempre più tali. Pensiamoci bene: se noi siamo disposti a combattere la guerra attuale con ogni arma a nostra disposizione, compresa quella atomica, come propone il Segretario alla Difesa americano, allora dobbiamo aspettarci che anche i nostri nemici, chiunque essi siano, saranno ancor più determinati di prima a fare lo stesso, ad agire senza regole, senza il rispetto di nessun principio. Se alla violenza del loro attacco alle Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor più terribile violenza - ora in Afghanistan, poi in Iraq, poi chi sa dove -, alla nostra ne seguirà necessariamente una loro ancora più orribile e poi un' altra nostra e così via. Perché non fermarsi prima? Abbiamo perso la misura di chi siamo, il senso di quanto fragile ed interconnesso sia il mondo in cui viviamo, e ci illudiamo di poter usare una dose, magari «intelligente», di violenza per mettere fine alla terribile violenza altrui. Cambiamo illusione e, tanto per cominciare, chiediamo a chi fra di noi dispone di armi nucleari, armi chimiche e armi batteriologice - Stati Uniti in testa - d' impegnarsi solennemente con tutta l' umanità a non usarle mai per primo, invece di ricordarcene minacciosamente la disponibilità. Sarebbe un primo passo in una nuova direzione. Non solo questo darebbe a chi lo fa un vantaggio morale - di per sé un' arma importante per il futuro -, ma potrebbe anche disinnescare l' orrore indicibile ora attivato dalla reazione a catena della vendetta. In questi giorni ho ripreso in mano un bellissimo libro (peccato che non sia ancora in italiano) di un vecchio amico, uscito due anni fa in Germania. Il libro si intitola Die Kunst, nicht regiert zu werden: ethische Politik von Sokrates bis Mozart (L' arte di non essere governati: l' etica politica da Socrate a Mozart). L' autore è Ekkehart Krippendorff, che ha insegnato per anni a Bologna prima di tornare all' Università di Berlino. La affascinante tesi di Krippendorff è che la politica, nella sua espressione più nobile, nasce dal superamento della vendetta e che la cultura occidentale ha le sue radici più profonde in alcuni miti, come quello di Caino e quello delle Erinni, intesi da sempre a ricordare all' uomo la necessità di rompere il circolo vizioso della vendetta per dare origine alla civiltà. Caino uccide il fratello, ma Dio impedisce agli uomini di vendicare Abele e, dopo aver marchiato Caino - un marchio che è anche una protezione -, lo condanna all' esilio dove quello fonda la prima città. La vendetta non è degli uomini, spetta a Dio. Secondo Krippendorff il teatro, da Eschilo a Shakespeare, ha avuto una funzione determinante nella formazione dell' uomo occidentale perché col suo mettere sulla scena tutti i protagonisti di un conflitto, ognuno col suo punto di vista, i suoi ripensamenti e le sue possibili scelte di azione, il teatro è servito a far riflettere sul senso delle passioni e sulla inutilità della violenza che non raggiunge mai il suo fine. Purtroppo, oggi, sul palcoscenico del mondo noi occidentali siamo insieme i soli protagonisti ed i soli spettatori, e così, attraverso le nostre televisioni ed i nostri giornali, non ascoltiamo che le nostre ragioni, non proviamo che il nostro dolore. A te, Oriana, i kamikaze non interessano. A me tanto invece. Ho passato giorni in Sri Lanka con alcuni giovani delle «Tigri Tamil», votati al suicidio. Mi interessano i giovani palestinesi di «Hamas» che si fanno saltare in aria nelle pizzerie israeliane. Un po' di pietà sarebbe forse venuta anche a te se in Giappone, sull' isola di Kyushu, tu avessi visitato Chiran, il centro dove i primi kamikaze vennero addestrati e tu avessi letto le parole, a volte poetiche e tristissime, scritte segretamente prima di andare, riluttanti, a morire per la bandiera e per l' Imperatore. I kamikaze mi interessano perché vorrei capire che cosa li rende così disposti a quell' innaturale atto che è il suicidio e che cosa potrebbe fermarli. Quelli di noi a cui i figli - fortunatamente - sono nati, si preoccupano oggi moltissimo di vederli bruciare nella fiammata di questo nuovo, dilagante tipo di violenza di cui l' ecatombe nelle Torri Gemelle potrebbe essere solo un episodio. Non si tratta di giustificare, di condonare, ma di capire. Capire, perché io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali. Niente nella storia umana è semplice da spiegare e fra un fatto ed un altro c' è raramente una correlazione diretta e precisa. Ogni evento, anche della nostra vita, è il risultato di migliaia di cause che producono, assieme a quell' evento, altre migliaia di effetti, che a loro volta sono le cause di altre migliaia di effetti. L' attacco alle Torri Gemelle è uno di questi eventi: il risultato di tanti e complessi fatti antecedenti. Certo non è l' atto di «una guerra di religione» degli estremisti musulmani per la conquista delle nostre anime, una Crociata alla rovescia, come la chiami tu, Oriana. Non è neppure «un attacco alla libertà ed alla democrazia occidentale», come vorrebbe la semplicistica formula ora usata dai politici. Un vecchio accademico dell' Università di Berkeley, un uomo certo non sospetto di anti-americanismo o di simpatie sinistrorse dà di questa storia una interpretazione completamente diversa. «Gli assassini suicidi dell' 11 settembre non hanno attaccato l' America: hanno attaccato la politica estera americana», scrive Chalmers Johnson nel numero di The Nation del 15 ottobre. Per lui, autore di vari libri - l' ultimo, Blowback, contraccolpo, uscito l' anno scorso (in Italia edito da Garzanti ndr) ha del profetico - si tratterebbe appunto di un ennesimo «contraccolpo» al fatto che, nonostante la fine della Guerra Fredda e lo sfasciarsi dell' Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno mantenuto intatta la loro rete imperiale di circa 800 installazioni militari nel mondo. Con una analisi che al tempo della Guerra Fredda sarebbe parsa il prodotto della disinformazione del Kgb, Chalmers Johnson fa l' elenco di tutti gli imbrogli, complotti, colpi di Stato, delle persecuzioni, degli assassinii e degli interventi a favore di regimi dittatoriali e corrotti nei quali gli Stati Uniti sono stati apertamente o clandestinamente coinvolti in America Latina, in Africa, in Asia e nel Medio Oriente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi. Il «contraccolpo» dell' attacco alle Torri Gemelle ed al Pentagono avrebbe a che fare con tutta una serie di fatti di questo tipo: fatti che vanno dal colpo di Stato ispirato dalla Cia contro Mossadeq nel 1953, seguito dall' installazione dello Shah in Iran, alla Guerra del Golfo, con la conseguente permanenza delle truppe americane nella penisola araba, in particolare l' Arabia Saudita dove sono i luoghi sacri dell' Islam. Secondo Johnson sarebbe stata questa politica americana «a convincere tanta brava gente in tutto il mondo islamico che gli Stati Uniti sono un implacabile nemico». Così si spiegherebbe il virulento anti-americanismo diffuso nel mondo musulmano e che oggi tanto sorprende gli Stati Uniti ed i loro alleati. Esatta o meno che sia l' analisi di Chalmers Johnson, è evidente che al fondo di tutti i problemi odierni degli americani e nostri nel Medio Oriente c' è, a parte la questione israeliano-palestinese, la ossessiva preoccupazione occidentale di far restare nelle mani di regimi «amici», qualunque essi fossero, le riserve petrolifere della regione. Questa è stata la trappola. L' occasione per uscirne è ora. Perché non rivediamo la nostra dipendenza economica dal petrolio? Perché non studiamo davvero, come avremmo potuto già fare da una ventina d' anni, tutte le possibili fonti alternative di energia? Ci eviteremmo così d' essere coinvolti nel Golfo con regimi non meno repressivi ed odiosi dei talebani; ci eviteremmo i sempre più disastrosi «contraccolpi» che ci verranno sferrati dagli oppositori a quei regimi, e potremmo comunque contribuire a mantenere un migliore equilibrio ecologico sul pianeta. Magari salviamo così anche l' Alaska che proprio un paio di mesi fa è stata aperta ai trivellatori, guarda caso dal presidente Bush, le cui radici politiche - tutti lo sanno - sono fra i petrolieri. A proposito del petrolio, Oriana, sono certo che anche tu avrai notato come, con tutto quel che si sta scrivendo e dicendo sull' Afghanistan, pochissimi fanno notare che il grande interesse per questo paese è legato al fatto d' essere il passaggio obbligato di qualsiasi conduttura intesa a portare le immense risorse di metano e petrolio dell' Asia Centrale (vale a dire di quelle repubbliche ex-sovietiche ora tutte, improvvisamente, alleate con gli Stati Uniti) verso il Pakistan, l' India e da lì nei paesi del Sud Est Asiatico. Il tutto senza dover passare dall' Iran. Nessuno in questi giorni ha ricordato che, ancora nel 1997, due delegazioni degli «orribili» talebani sono state ricevute a Washington (anche al Dipartimento di Stato) per trattare di questa faccenda e che una grande azienda petrolifera americana, la Unocal, con la consulenza niente di meno che di Henry Kissinger, si è impegnata col Turkmenistan a costruire quell' oleodotto attraverso l' Afghanistan. È dunque possibile che, dietro i discorsi sulla necessità di proteggere la libertà e la democrazia, l' imminente attacco contro l' Afghanistan nasconda anche altre considerazioni meno altisonanti, ma non meno determinanti. È per questo che nell' America stessa alcuni intellettuali cominciano a preoccuparsi che la combinazione fra gli interessi dell' industria petrolifera con quelli dell' industria bellica - combinazione ora prominentemente rappresentata nella compagine al potere a Washington - finisca per determinare in un unico senso le future scelte politiche americane nel mondo e per limitare all' interno del paese, in ragione dell' emergenza anti-terrorismo, i margini di quelle straordinarie libertà che rendono l' America così particolare. Il fatto che un giornalista televisivo americano sia stato redarguito dal pulpito della Casa Bianca per essersi chiesto se l' aggettivo «codardi», usato da Bush, fosse appropriato per i terroristi-suicidi, così come la censura di certi programmi e l' allontanamento da alcuni giornali, di collaboratori giudicati non ortodossi, hanno aumentato queste preoccupazioni. L' aver diviso il mondo in maniera - mi pare - «talebana», fra «quelli che stanno con noi e quelli contro di noi», crea ovviamente i presupposti per quel clima da caccia alle streghe di cui l' America ha già sofferto negli anni Cinquanta col maccartismo, quando tanti intellettuali, funzionari di Stato ed accademici, ingiustamente accusati di essere comunisti o loro simpatizzanti, vennero perseguitati, processati e in moltissimi casi lasciati senza lavoro. Il tuo attacco, Oriana - anche a colpi di sputo - alle «cicale» ed agli intellettuali «del dubbio» va in quello stesso senso. Dubitare è una funzione essenziale del pensiero; il dubbio è il fondo della nostra cultura. Voler togliere il dubbio dalle nostre teste è come volere togliere l' aria ai nostri polmoni. Io non pretendo affatto d' aver risposte chiare e precise ai problemi del mondo (per questo non faccio il politico), ma penso sia utile che mi si lasci dubitare delle risposte altrui e mi si lasci porre delle oneste domande. In questi tempi di guerra non deve essere un crimine parlare di pace. Purtroppo anche qui da noi, specie nel mondo «ufficiale» della politica e dell' establishment mediatico, c' è stata una disperante corsa alla ortodossia. È come se l' America ci mettesse già paura. Capita così di sentir dire in televisione a un post-comunista in odore di una qualche carica nel suo partito, che il soldato Ryan è un importante simbolo di quell' America che per due volte ci ha salvato. Ma non c' era anche lui nelle marce contro la guerra americana in Vietnam? Per i politici - me ne rendo conto - è un momento difficilissimo. Li capisco e capisco ancor più l' angoscia di qualcuno che, avendo preso la via del potere come una scorciatoia per risolvere un piccolo conflitto di interessi terreni si ritrova ora alle prese con un enorme conflitto di interessi divini, una guerra di civiltà combattuta in nome di Iddio e di Allah. No. Non li invidio, i politici. Siamo fortunati noi, Oriana. Abbiamo poco da decidere e non trovandoci in mezzo ai flutti del fiume, abbiamo il privilegio di poter stare sulla riva a guardare la corrente. Ma questo ci impone anche grandi responsabilità come quella, non facile, di andare dietro alla verità e di dedicarci soprattutto «a creare campi di comprensione, invece che campi di battaglia», come ha scritto Edward Said, professore di origine palestinese ora alla Columbia University, in un saggio sul ruolo degli intellettuali uscito proprio una settimana prima degli attentati in America. Il nostro mestiere consiste anche nel semplificare quel che è complicato. Ma non si può esagerare, Oriana, presentando Arafat come la quintessenza della doppiezza e del terrorismo ed indicando le comunità di immigrati musulmani da noi come incubatrici di terroristi. Le tue argomentazioni verranno ora usate nelle scuole contro quelle buoniste, da libro Cuore, ma tu credi che gli italiani di domani, educati a questo semplicismo intollerante, saranno migliori? Non sarebbe invece meglio che imparassero, a lezione di religione, anche che cosa è l' Islam? Che a lezione di letteratura leggessero anche Rumi o il da te disprezzato Omar Kayan? Non sarebbe meglio che ci fossero quelli che studiano l' arabo, oltre ai tanti che già studiano l' inglese e magari il giapponese? Lo sai che al ministero degli Esteri di questo nostro paese affacciato sul Mediterraneo e sul mondo musulmano, ci sono solo due funzionari che parlano arabo? Uno attualmente è, come capita da noi, console ad Adelaide in Australia. Mi frulla in testa una frase di Toynbee: «Le opere di artisti e letterati hanno vita più lunga delle gesta di soldati, di statisti e mercanti. I poeti ed i filosofi vanno più in là degli storici. Ma i santi e i profeti valgono di più di tutti gli altri messi assieme». Dove sono oggi i santi ed i profeti? Davvero, ce ne vorrebbe almeno uno! Ci rivorrebbe un San Francesco. Anche i suoi erano tempi di crociate, ma il suo interesse era per «gli altri», per quelli contro i quali combattevano i crociati. Fece di tutto per andarli a trovare. Ci provò una prima volta, ma la nave su cui viaggiava naufragò e lui si salvò a malapena. Ci provò una seconda volta, ma si ammalò prima di arrivare e tornò indietro. Finalmente, nel corso della quinta crociata, durante l' assedio di Damietta in Egitto, amareggiato dal comportamento dei crociati («vide il male ed il peccato»), sconvolto da una spaventosa battaglia di cui aveva visto le vittime, San Francesco attraversò le linee del fronte. Venne catturato, incatenato e portato al cospetto del Sultano. Peccato che non c' era ancora la Cnn - era il 1219 - perché sarebbe interessantissimo rivedere oggi il filmato di quell' incontro. Certo fu particolarissimo perché, dopo una chiacchierata che probabilmente andò avanti nella notte, al mattino il Sultano lasciò che San Francesco tornasse, incolume, all' accampamento dei crociati. Mi diverte pensare che l' uno disse all' altro le sue ragioni, che San Francesco parlò di Cristo, che il Sultano lesse passi del Corano e che alla fine si trovarono d' accordo sul messaggio che il poverello di Assisi ripeteva ovunque: «Ama il prossimo tuo come te stesso». Mi diverte anche immaginare che, siccome il frate sapeva ridere come predicare, fra i due non ci fu aggressività e che si lasciarono di buon umore sapendo che comunque non potevano fermare la storia. Ma oggi? Non fermarla può voler dire farla finire. Ti ricordi, Oriana, Padre Balducci che predicava a Firenze quando noi eravamo ragazzi? Riguardo all' orrore dell' olocausto atomico pose una bella domanda: «La sindrome da fine del mondo, l' alternativa fra essere e non essere, hanno fatto diventare l' uomo più umano?». A guardarsi intorno la risposta mi pare debba essere «No». Ma non possiamo rinunciare alla speranza. «Mi dica, che cosa spinge l' uomo alla guerra?», chiedeva Albert Einstein nel 1932 in una lettera a Sigmund Freud. «È possibile dirigere l' evoluzione psichica dell' uomo in modo che egli diventi più capace di resistere alla psicosi dell' odio e della distruzione?» Freud si prese due mesi per rispondergli. La sua conclusione fu che c' era da sperare: l' influsso di due fattori - un atteggiamento più civile, ed il giustificato timore degli effetti di una guerra futura - avrebbe dovuto mettere fine alle guerre in un prossimo avvenire. Giusto in tempo la morte risparmiò a Freud gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Non li risparmiò invece ad Einstein, che divenne però sempre più convinto della necessità del pacifismo. Nel 1955, poco prima di morire, dalla sua casetta di Princeton in America dove aveva trovato rifugio, rivolse all' umanità un ultimo appello per la sua sopravvivenza: «Ricordatevi che siete uomini e dimenticatevi tutto il resto». Per difendersi, Oriana, non c' è bisogno di offendere (penso ai tuoi sputi ed ai tuoi calci). Per proteggersi non c' è bisogno d' ammazzare. Ed anche in questo possono esserci delle giuste eccezioni. M' è sempre piaciuta nei Jataka, le storie delle vite precedenti di Buddha, quella in cui persino lui, epitome della non violenza, in una incarnazione anteriore uccide. Viaggia su una barca assieme ad altre 500 persone. Lui, che ha già i poteri della preveggenza, «vede» che uno dei passeggeri, un brigante, sta per ammazzare tutti e derubarli e lui lo previene buttandolo nell' acqua ad affogare per salvare gli altri. Essere contro la pena di morte non vuol dire essere contro la pena in genere ed in favore della libertà di tutti i delinquenti. Ma per punire con giustizia occorre il rispetto di certe regole che sono il frutto dell' incivilimento, occorre il convincimento della ragione, occorrono delle prove. I gerarchi nazisti furono portati dinanzi al Tribunale di Norimberga; quelli giapponesi responsabili di tutte le atrocità commesse in Asia, furono portati dinanzi al Tribunale di Tokio prima di essere, gli uni e gli altri, dovutamente impiccati. Le prove contro ognuno di loro erano schiaccianti. Ma quelle contro Osama Bin Laden? «Noi abbiamo tutte le prove contro Warren Anderson, presidente della Union Carbide. Aspettiamo che ce lo estradiate», scrive in questi giorni dall' India agli americani, ovviamente a mo' di provocazione, Arundhati Roy, la scrittrice de Il Dio delle piccole cose: una come te, Oriana, famosa e contestata, amata ed odiata. Come te, sempre pronta a cominciare una rissa, la Roy ha usato della discussione mondiale su Osama Bin Laden per chiedere che venga portato dinanzi ad un tribunale indiano il presidente americano della Union Carbide responsabile dell' esplosione nel 1984 nella fabbrica chimica di Bhopal in India che fece 16.000 morti. Un terrorista anche lui? Dal punto di vista di quei morti forse sì. L' immagine del terrorista che ora ci viene additata come quella del «nemico» da abbattere è il miliardario saudita che, da una tana nelle montagne dell' Afghanistan, ordina l' attacco alle Torri Gemelle; è l' ingegnere-pilota, islamista fanatico, che in nome di Allah uccide se stesso e migliaia di innocenti; è il ragazzo palestinese che con una borsetta imbottita di dinamite si fa esplodere in mezzo ad una folla. Dobbiamo però accettare che per altri il «terrorista» possa essere l' uomo d' affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsetta non una bomba, ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a causa di rischi di esplosione ed inquinamento, non potrebbe mai essere costruita in un paese ricco del Primo Mondo. E la centrale nucleare che fa ammalare di cancro la gente che ci vive vicino? E la diga che disloca decine di migliaia di famiglie? O semplicemente la costruzione di tante piccole industrie che cementificano risaie secolari, trasformando migliaia di contadini in operai per produrre scarpe da ginnastica o radioline, fino al giorno in cui è più conveniente portare quelle lavorazioni altrove e le fabbriche chiudono, gli operai restano senza lavoro e non essendoci più i campi per far crescere il riso, muoiono di fame? Questo non è relativismo. Voglio solo dire che il terrorismo, come modo di usare la violenza, può esprimersi in varie forme, a volte anche economiche, e che sarà difficile arrivare ad una definizione comune del nemico da debellare. I governi occidentali oggi sono uniti nell' essere a fianco degli Stati Uniti; pretendono di sapere esattamente chi sono i terroristi e come vanno combattuti. Molto meno convinti però sembrano i cittadini dei vari paesi. Per il momento non ci sono state in Europa dimostrazioni di massa per la pace; ma il senso del disagio è diffuso così come è diffusa la confusione su quel che si debba volere al posto della guerra. «Dateci qualcosa di più carino del capitalismo», diceva il cartello di un dimostrante in Germania. «Un mondo giusto non è mai NATO», c' era scritto sullo striscione di alcuni giovani che marciavano giorni fa a Bologna. Già. Un mondo «più giusto» è forse quel che noi tutti, ora più che mai, potremmo pretendere. Un mondo in cui chi ha tanto si preoccupa di chi non ha nulla; un mondo retto da principi di legalità ed ispirato ad un po' più di moralità. La vastissima, composita alleanza che Washington sta mettendo in piedi, rovesciando vecchi schieramenti e riavvicinando paesi e personaggi che erano stati messi alla gogna, solo perché ora tornano comodi, è solo l' ennesimo esempio di quel cinismo politico che oggi alimenta il terrorismo in certe aree del mondo e scoraggia tanta brava gente nei nostri paesi. Gli Stati Uniti, per avere la maggiore copertura possibile e per dare alla guerra contro il terrorismo un crisma di legalità internazionale, hanno coinvolto le Nazioni Unite, eppure gli Stati Uniti stessi rimangono il paese più reticente a pagare le proprie quote al Palazzo di Vetro, sono il paese che non ha ancora ratificato né il trattato costitutivo della Corte Internazionale di Giustizia, né il trattato per la messa al bando delle mine anti-uomo e tanto meno quello di Kyoto sulle mutazioni climatiche. L' interesse nazionale americano ha la meglio su qualsiasi altro principio. Per questo ora Washington riscopre l' utilità del Pakistan, prima tenuto a distanza per il suo regime militare e punito con sanzioni economiche a causa dei suoi esperimenti nucleari; per questo la Cia sarà presto autorizzata di nuovo ad assoldare mafiosi e gangster cui affidare i «lavoretti sporchi» di liquidare qua e là nel mondo le persone che la Cia stessa metterà sulla sua lista nera. Eppure un giorno la politica dovrà ricongiungersi con l' etica se vorremo vivere in un mondo migliore: migliore in Asia come in Africa, a Timbuctu come a Firenze. A proposito, Oriana. Anche a me ogni volta che, come ora, ci passo, questa città mi fa male e mi intristisce. Tutto è cambiato, tutto è involgarito. Ma la colpa non è dell' Islam o degli immigrati che ci si sono installati. Non son loro che han fatto di Firenze una città bottegaia, prostituita al turismo! È successo dappertutto. Firenze era bella quando era più piccola e più povera. Ora è un obbrobrio, ma non perché i musulmani si attendano in Piazza del Duomo, perché i filippini si riuniscono il giovedì in Piazza Santa Maria Novella e gli albanesi ogni giorno attorno alla stazione. È così perché anche Firenze s' è «globalizzata», perché non ha resistito all' assalto di quella forza che, fino ad ieri, pareva irresistibile: la forza del mercato. Nel giro di due anni da una bella strada del centro in cui mi piaceva andare a spasso è scomparsa una libreria storica, un vecchio bar, una tradizionalissima farmacia ed un negozio di musica. Per far posto a che? A tanti negozi di moda. Credimi, anch' io non mi ci ritrovo più. Per questo sto, anch' io ritirato, in una sorta di baita nell' Himalaya indiana dinanzi alle più divine montagne del mondo. Passo ore, da solo, a guardarle, lì maestose ed immobili, simbolo della più grande stabilità, eppure anche loro, col passare delle ore, continuamente diverse e impermanenti come tutto in questo mondo. La natura è una grande maestra, Oriana, e bisogna ogni tanto tornarci a prendere lezione. Tornaci anche tu. Chiusa nella scatola di un appartamento dentro la scatola di un grattacielo, con dinanzi altri grattacieli pieni di gente inscatolata, finirai per sentirti sola davvero; sentirai la tua esistenza come un accidente e non come parte di un tutto molto, molto più grande di tutte le torri che hai davanti e di quelle che non ci sono più. Guarda un filo d' erba al vento e sentiti come lui. Ti passerà anche la rabbia. Ti saluto, Oriana e ti auguro di tutto cuore di trovare pace. Perché se quella non è dentro di noi non sarà mai da nessuna parte. BIOGRAFIA DI UN INVIATO DA FIRENZE ALL' ASIA Tiziano Terzani (nella foto) è nato a Firenze nel 1938, scrive sul «Corriere» dal ' 71. Prima di arrivare al giornalismo, ha confessato Terzani, «le avevo provate tutte: avvocato, università, manager all' Olivetti. Ma dovevo seguire la mia vocazione». Terzani ha viaggiato in tutta l' Asia. E' vissuto a Singapore, Hong Kong, Pechino, Tokio, Bangkok. Dal 1994 si è stabilito in India con la moglie, Angela Staude, scrittrice, e i loro due figli I LIBRI Terzani ha pubblicato «Pelle di leopardo» (1973), dedicato alla guerra in Vietnam. Nel 1975 è uno dei pochi giornalisti che resta a Saigon per assistere alla presa di potere da parte dei comunisti. Da questa esperienza nasce «Giai Phong! La liberazione di Saigon» (1976). Fra i primi corrispondenti a tornare a Phnom Penh dopo l' intervento vietnamita in Cambogia, racconta il suo viaggio in «Holocaust in Kambodscha» (1981). Tra gli altri libri ricordiamo: «Buonanotte, Signor Lenin» (1992); «Un indovino mi disse» (1995); «In Asia» (1998) SU INTERNET Digitando l' indirizzo www.tizianoterzani.com si può visitare il sito del «Tiziano Terzani Fan Club» dedicato allo scrittore-giornalista LA RABBIA E L' ORGOGLIO IL RITORNO DI ORIANA La «Lettera da Firenze» di Tiziano Terzani è una risposta alla «Lettera da New York» di Oriana Fallaci (nella foto), pubblicata dal «Corriere della Sera», sabato 29 settembre, con il titolo «La Rabbia e l' Orgoglio». Un intervento, quello della Fallaci, che ha rotto un silenzio durato oltre dieci anni (l' ultimo reportage risaliva alla Guerra del Golfo). E che ha scatenato, com' era prevedibile, dibatti e discussioni in tutto il mondo ALL' ESTERO L' articolo di Oriana Fallaci è stato acquistato negli Stati Uniti, in Europa, in America Latina e numerosi altri Paesi UN LIBRO DA RIZZOLI Il pamphlet di Oriana Fallaci, «La Rabbia e l' Orgoglio» si trasformerà presto in un libro. Sarà pubblicato dalla Rizzoli www.corriere.it Sul sito del «Corriere» il testo integrale della «Lettera da New York» di Oriana Fallaci, la risposta di Dacia Maraini, pubblicata il 5 ottobre, «La bandiera italiana» di Sergio Romano, apparso ieri sul «Corriere della Sera», da oggi l' articolo di Terzani, e il forum con i commenti dei lettori
Terzani Tiziano
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(8 ottobre 2001) - Corriere della Sera


sabato 7 giugno 2014

Diversamente....Medici

Lezione di anatomia del dottor Tulp - Rembrandt Harmenszoon van Rijn -

Quello che voglio raccontarvi, a differenza di tutte le altre volte, sono le mie considerazioni, impressioni, pensieri di una mia esperienza personale in Pronto Soccorso.
Esperienza da "paziente" .
"Solo" paziente.
Sono necessarie alcune premesse.
Nonostante io non sia una persona "avanti negli anni",  ho nel mio vissuto esperienza della figura del medico e delle infermiere, molto distante, differente da quella con cui mi sono scontrata in questa mia esperienza.
Nel mio vissuto tali figure, sono prima di tutto Persone...con una sensibilità sempre accesa, e non per scelta, ma perché dotate intrinsecamente di tale capacità, che certamente in alcuni giorni più duri,o nelle cosiddette giornate storte, può essere meno "accesa", ma sempre presente, e mai, dico Mai, assente.
Persone con un rispetto ed una comprensione infinita per quello che viene definito "paziente", ma che in
questo tipo di medici, infermieri, erano semplicemente Persone sofferenti.
Il loro unico scopo e massima soddisfazione era alleviare, togliere, curare la sofferenza, a tutti i livelli.
Rassicurare quando c'era da rassicurare, ascoltare, alleviare, curare, guarire.
La soddisfazione massima e l'unica ricompensa per queste persone, per questo tipo di "figure", era quel "grazie" sussurrato, quando finalmente il paziente era guarito, o semplicemente stava meglio, oppure quel sorriso del paziente, ormai sollevato dalle pene, e dalle paure, dal dolore .
Paziente sicuro che in ogni caso in quel medico, in quell'infermiere aveva trovato un alleato leale, fidato, e che insieme, avrebbe percorso il viaggio angusto, a volte insidioso, della "malattia" , qualunque e dovunque fosse la destinazione.
Trattasi di un sorriso molto particolare, quello del " paziente", quel sorriso a metà volto, quasi accennato, che riassume in quella linea storta,il percorso fatto che aveva condotto finalmente ad un sollievo.
Io l'ho visto quel sorriso, ed ho visto gli occhi del medico, velati dalla stanchezza, del troppo affannarsi, quegli occhi con quella scintilla data dalla sicurezza di aver operato bene ed al meglio.
Mano sicura, abbraccio costante..insieme, un darsi costante, senza risparmiarsi in alcunché, dedizione totale.
Queste sono le persone medici ed infermieri con cui sono cresciuta, e di cui ho esperienza.
E le "cure" prestate avevano la stessa intensità, attenzione,umanità, competenza, preparazione, rispetto,verso tutti, senza distinzione di età, sesso, classe sociale, razza, religione o altro.
Avevano come uniche armi, oltre l'umanità, che dava loro un'energia paragonabile ai supereroi dei fumetti, Preparazione, Conoscenza e...Voglia di agire, di fare il tutto per tutto, a volte in condizioni davvero proibitive: pionieri, davvero pionieri impavidi!

Mi sono invece scontrata, in questi giorni, con Alcuni ...diversamente Medici.
Medici giudici e dittatori, incapaci di ascoltare anche solo i sintomi, troppo presi dalla gioia di ascoltare la propria voce rimbombante, e troppo distanti...quel piedistallo così alto non permette alla voce dell'umano sottostante, dolorante, di arrivare così in alto.
Ma poi anche se arrivasse fin lassù quella voce, ci sarebbero orecchi che ascoltano?
Alcuni medici, quelli che definisco diversamente Medici credo ne siano privi.
Incapaci di .... Essere "umani"...

Fare il medico, infermiere/a e simili non è una professione, e non credo sia da tutti, è prima di tutto una missione , una vocazione, è un Servizio che si mette a disposizione dei propri simili.

Ho anche sempre pensato, che gli uomini, nel dolore, solidarizzassero, vicendevolmente si soccorressero, e che in maniera, forse romantica, come in versi racconta bene G.Pascoli nei Due fanciulli , fossero capaci di mutuo soccorso e comprensione, mettendo da parte ogni piccola, inutile, meschinità.
È questo che io ho vissuto, io l'ho vista e vissuta questa solidarietà di cui parlo.
Tutto questo è così radicato in me da credere che questa fosse la normalità.
Invece neanche sul fronte "pazienti", umani nella stessa barca (in questo caso sala di attesa del Pronto Soccorso), ho visto questo.
Ho invece visto come si aspettasse che quel paziente che precedeva, desse tanto fastidio, e come si aspettasse che fosse presto "cadavere", in maniera da poterlo scavalcare con un certo fastidio, e se si escludeva la possibilità che velocemente cambiasse stato, ideare una strategia, che permettesse di scavalcarlo.
Un calpestare incurante, senza alcun scrupolo e senza alcun pensiero che avesse una parvenza di "piccola voce" di rimorso, la sofferenza del proprio Simile.

È triste..è veramente triste...e trattasi di una tristezza che ha il sapore amaro di fiele

Gli unici pensieri, sentimenti conclusivi di questa mia esperienza vengono ben espressi nei versi seguenti...
Sono pensieri, riflessioni in me, e non sete di vendetta o rivalsa, o altro del genere...
Riflessione triste, amara, disillusa, ed i versi che seguono siano per me , monito sempre presente a me stessa, che nel mio essere con gli altri io tenda ad essere come le persone Medici, Infermieri che ho vissuto e che...
ho amato ed amo.


"...............
III 
Uomini, nella truce ora dei lupi,
pensate all'ombra del destino ignoto
che ne circonda, e a' silenzi cupi

che regnano oltre il breve suon del moto
vostro e il fragore della vostra guerra,
ronzio d'un'ape dentro il bugno vuoto.

Uomini, pace! Nella prona terra
troppo è il mistero; e solo chi procaccia
d'aver fratelli in suo timor, non erra.

Pace, fratelli! e fate che le braccia
ch'ora o poi tenderete ai più vicini,
non sappiano la lotta e la minaccia.

E buoni veda voi dormir nei lini
placidi e bianchi, quando non intesa,
quando non vista, sopra voi si chini

la Morte con la sua lampada accesa."

Da - I Due Fanciulli - G.Pascoli
venerdì 11 ottobre 2013

In sé

L'uomo è l'unico animale che arrossisce,
o che ne abbia bisogno
Mark Twain

Ondeggiando nei silenziosi rumori della notte...

A volte mi sento abbastanza intelligente per
arrivare al giorno dopo.
E sempre abbastanza idiota per
partire dall'attimo presente.
Non serve avere una buona vista per
scorgere l'umano..in sè.
Non serve possedere acume per
comprendere la pietà dell'esistenza.
Non serve possedere un buon udito per
ascoltare la musica vibrante del silenzio.
E non servono parole per
comunicare le urla generate da "lacrime e...pioggia".
Non serve un olfatto acuto per
inseguire l'essenza odorosa,muta, dell'incomprensione.
Non serve un palato raffinato per
degustare il fiele della solitudine.
E non servono braccia per
offrire l'abbraccio mancante.
Sarebbe sufficiente
Essere...
In sé per l'altro
L'animale che arrossisce
o che dovrebbe.
mercoledì 17 aprile 2013

Giorni Difficili

Giorni...
e notti...
in compagnia di me.
Giorni difficili.
Compagnia che oscilla costantemente
tra il troppo: soffocante, pesante
e
l'appena sufficiente, necessario: fame feroce.
Il silenzio, entità necessaria,
confortante,
grembo ancestrale,
protezione, calore.

Questo silenzio...
unica voce,
muto rispetto
Manifesto di emozioni
cristallizzate, vissute: rugiada di freschi mattini primaverili:
momento,nello spazio e nel tempo, di Grazia,
pausa di due diversi ed equivalenti
passionali abissi
e
Stupore e timore
nell'indecifrabile immobilità: tempesta d'acqua e sabbia,
burrasca e venti urlanti.
Ed ancora,questo silenzio
insieme di frammenti di parole,pensieri, emozioni
che non trovano espressione sufficiente
nel dire.

Giorni difficili...
E notti
abissi in cui l'equilibrio
è un precipitare e fermo immagine all'aurora..

Sempre più lontano..
Sempre più distante..
Tra buio e polvere
nel cuore pulsante della Tempesta....
Giorni difficili....
lunedì 24 dicembre 2012

BUONE FESTE!!!

ECCE HOMO - Jeroen Anthoniszoon van Aken: Hieronymus Bosch

Descrizione
Condizioni di utilizzo immagine




Chi di essi meglio "ci rappresenta"? 

BUONE FESTE!!!
lunedì 3 dicembre 2012

Blade Runner

"Ho visto cose che voi umani non potreste immaginare...
Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione.
E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia.
È tempo di morire...".

Rutger Hauer (Roy Batty) in Blade Runner

mercoledì 28 novembre 2012

RIECCOMI!!! Ancora Grazie! ...Ed ancora Monologhi Urlanti

Rieccomi...
E va bene...
...
dopo aver ricevuto diverse lamentele, e  email, in cui mi sono state chieste motivazioni e spiegazioni sul perché avevo deciso di "chiudere"...e dopo  aver riflettuto, non  potevo non considerare le motivazioni e le ragioni di tutti.
E soprattutto il sentire di tutti!
Quindi rieccomi..
Ed in questo momento che per me,che forse a torto, sembra un monologo urlante...finché solo uno di voi mi chiederà di esserci, "sentirà" che io ci debba essere...ci sarò...
E ci sarò, con fatica, anche per me stessa, che come mi è stato detto,sussurrato, rimproverato:

 "la prima responsabilità ce l'abbiamo verso noi stessi".
E questo blog lo è... per me.

Immanuel Kant,filosofo tedesco, diceva che:

...le cose hanno un prezzo, le persone la dignità ("dignitas").
Ed anche:


..Nel regno dei fini tutto ha un prezzo o una dignità. Ciò che ha un prezzo può essere sostituito da qualcos’altro a titolo equivalente; al contrario, ciò che è superiore a quel prezzo e che non ammette equivalenti,  è ciò che ha una dignità...
Immanuel Kant - Da Fondazione della metafisica dei costumi





A Noi...dunque:


...Giorni e notti di eclissi
e fumo
e lacrime
lente,
incandescenti,
....
salate...
in cui si annega...
e paura strisciante
allarme che
ti indica che quell'antica frattura,
quella abissale profondità
è di nuovo presente,
vicina..
e il tuo passo,che altrove non può andare,
li ti conduce..
E'la ferita eredità di un sisma lontano,
ma sempre presente,
generato da quella solitudine che non ha voce,
che è silenzio.
Monologhi urlanti affetti da una solitudine
che nello stesso urlo solitudine non è....
La mia solitudine reale
è silenzio...
quel silenzio impermeabile a qualunque
pioggia,
lacrima
pugno.
Impermeabile al pensiero di alcuno,
e al fruscio di cose, angeli o demoni.
L'abisso,
nell'abisso cercarsi,
in esso rotolarsi,
in esso a volte spinta
da mani impietose o da parole
che vomitano solo incomprensione
con la presunzione e la noia della "Verità".
Ma il mio cammino
su questo ciglio, ciglio di abisso
è tornato...
ed è un buio tornare,
ed è un tornare con il buio senza stelle
ma è  un ritorno a me.
E continuerò su questo ciglio,
alla mia destra l'abisso di me,
e alla mia sinistra quella infinità di azzurro
che è tempesta: voce urlante di incitamento e coraggio
è passione : sussurri lenti e caldi che colorano l'anima,
è calma: note vibranti
è quel mare,
che si fonde al largo con il cielo
nella linea labile, confusa dell'orizzonte.
Ed andare...
E mi piace pensare e sperare che in questo mio andare
ci sarà il momento
in cui l'abisso mi sembrerà mare,cielo, linea d'orizzonte:
tempesta, passione,calma di me
e
seduta sul suo ciglio,
gambe penzoloni ed oscillanti,
al ritmo di quelle note che sono da sempre dentro me,con me sempre
lo guarderò...
guarderò in esso
come un equipaggio naufrago al faro insperato,
guarderò in esso...
e lo osserverò
...sorridendo!






 




lunedì 26 novembre 2012

Ultimo post!!

Salve,
è venuto per me il momento di andare..
Ringrazio tutti/e le persone che finora hanno, con passione o meno, con piacere o altro, investendo del tempo,seguito e letto fin qui..
Il viaggio in ogni caso continua...tempesta, bufera, o calma piatta che sia...e l'occhio a scrutare l'orizzonte...sempre...alla ricerca del Faro che indica "Terra!"
Grazie!
Vi lascio affinché vi accompagni, sempre che vogliate sia con  voi, una nota citazione di Camus, che preferisco non commentare...non credo ce ne sia bisogno:

 Quando si riesce a dare un nome alle cose si diminuisce la sofferenza nel mondo
                                                                                              A. Camus



Ancora un "Grazie"...di cuore.








giovedì 6 settembre 2012

Qui e Altrove

Qui ed altrove..
mai
sempre,
urlante e muta
arrabbiata oltre il limite
e anche lucida e calma come la superficie di un lago protetto.
In questo altrove
dove tutto si confonde,
si frantuma e si ricompone casualmente
cielo ed abisso
distanziati dal solito attimo di un pensiero che lascia
e l'altro che incombe invadendo.
Questi umani
chi sono..
cosa sono,
dove sono
è l'urlo e la rabbia di quel Polifemo
cieco.
Resa sorda, cieca
muta
una resa senza condizioni
ingloriosa,
e vele nere all'orizzonte
ammantate da quel cielo splendente
sprezzante del tutto.
In questo altrove,
non più presenze..
l'unica presente come sempre
è più di sempre
......
solitudine.
lunedì 2 luglio 2012

Citazione: Albert Camus

Non mi sono mai sentito così profondamente distaccato da me e così presente nel mondo nello stesso momento

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